Dossier sul nucleare.

Capitolo 2 - L’irrisolto problema delle scorie.

Nel precedente capitolo abbiamo trattato dell’assurdità economica del ritorno al nucleare. Ossia, dell’assurdità economica per le tasche dei contribuenti italiani ma anche degli enormi guadagni per la lobby economica che ne sostiene l’indispensabilità.
In questo capitolo parleremo del problema dello smaltimento e dello stoccaggio delle scorie radioattive, cioè di tutti quei rifiuti che provengono dall’attività nucleare, dal combustibile esausto ai materiali che hanno fatto parte di un impianto ormai vecchio e che deve essere smantellato.
Il problema dello smaltimento e della gestione delle scorie nucleari, oltre a rappresentare un enorme impiego energetico in risorse umane e tecnologiche, rappresenta un grave onere ambientale, perché ancora oggi, al di la di provvedimenti tecnico-geografici palliativi e di espedienti temporanei, non si hanno ancora soluzioni definitive e soddisfacenti dal punto di vista della sicurezza ambientale.
Molte scorie nucleari hanno tempi di decadimento radioattivo di migliaia di anni, alcune fino a centinaia di migliaia di anni. Tralasciando la descrizione dettagliata degli effetti che hanno gli elevati livelli di radiazione sugli esseri viventi, tutti sappiamo almeno per sommi capi, quanto possano essere devastanti per qualsiasi essere vivente. L’esposizione, anche per brevi periodi, a forti dosi radioattive, può comportare l’insorgere di malattie devastanti, quali leucemie, linfomi, tumori a vari organi del corpo umano, fino alle più subdole mutazioni genetiche, di cui non ci si accorge all’istante, ma che possono essere trasmesse alle generazioni future.
Un grande e grave problema legato all’energia nucleare è quello quindi di metter in sicurezza le scorie nucleari in maniera tale che non nuocciano alla popolazione. Ad oggi questo problema primario non è ancora stato risolto ed ogni anno è di circa 10.000 tonnellate la quantità di scorie prodotte dall’attività delle centrali. 270.000 tonnellate circa erano quelle accumulate fino al 2006, quindi a fine 2009 arriveremo a circa 300.000 tonnellate di scorie radioattive a cui ancora non hanno trovato una sistemazione sicura. E se il numero delle centrali aumenterà è matematico che tali quantità sono destinate a crescere molto più rapidamente.
Ma dove verranno stoccate tutte queste scorie se nessuno ha trovato una soluzione definitiva a questo atavico problema?
Pare infatti che in tutto il mondo sia stato identificato soltanto un sito "sicuro" per ospitare in profondità le scorie (in un cosiddetto deposito geologico) per migliaia di anni. Si trova in una zona del Nevada (Usa) e ha richiesto oltre 25 anni di ricerche, e solo per gli studi preliminari del terreno e per il progetto sono stati spesi circa 7 miliardi di dollari. Pare che questa operazione di messa in sicurezza delle scorie nucleari costerà agli Stati Uniti circa 110 miliardi di dollari (al valore 1996). Il sito verrà costruito al di sotto della Yucca Mountain, a circa 160 km da Las Vegas e nelle immediate vicinanze del Nevada Test Site dove fino a pochi anni fa venivano effettuati i test nucleari. In alcune cavità naturali della montagna dovrebbero essere conservate circa 70.000 tonnellate di scorie sigillate in contenitori a tenuta. Si tratta di un'operazione enormemente complessa e pericolosa: il materiale verrà trasferito dai 131 depositi "provvisori" attualmente attivi con 4.600 viaggi via treno o autocarro che dovranno attraversare 44 Stati con i relativi rischi di incidente. Le difficoltà sono talmente elevate che il progetto non ha ancora preso il via. E torniamo quindi alla domanda di partenza.
Per capire quanto siano incerte le conoscenze fisiche sullo stoccaggio di scorie in depositi geologici e quanto questo sia problematico, vi è in proposito una sperimentazione eseguita da un ricercatore ucraino di nome Vladimir Dubinko.
Dubinko ha fatto vedere i suoi risultati sperimentali sullo stoccaggio delle scorie radioattive dentro le "formazioni saline". Il famoso sito di stoccaggio di Scansano Jonico, individuato dalla Sogin alcuni anni fa è di questo tipo. L'idea che ha inizialmente fatto scegliere questo sito è che esso sia geologicamente stabile da tempi geologici, pertanto un buon posto per immagazzinare le scorie radioattive. Dubinko però ha scoperto un problema. Ha visto che esponendo il salgemma (NaCl) alle radiazioni, si formano delle bolle di cloro all'interno della struttura. Queste bolle indeboliscono il solido e alla fine lo fanno letteralmente esplodere. E' un fenomeno abbastanza noto nella scienza dei materiali, avviene anche in minerali silicei quando all’interno contengono delle minuscole inclusioni di carbonato di calcio che, scaldando, rilasciano repentinamente CO2 gassoso. Dubinko l'ha visto succedere con il salgemma irradiato, ma non solo; anche su altre rocce in teoria resistenti, come il granito.
Quindi il problema dello stoccaggio di scorie nucleari rimane un fatto molto serio, ma soprattutto irrisolto, anche nel nostro paese.
In Europa i principali centri di stoccaggio di scorie nucleari sono a Le Hague (Francia), Sellafield (Gran Bretagna), Oskarshamn (Svezia) e Olkiluoto (Finlandia).
Questi hanno però natura temporanea in quanto devono rispondere a criteri di reversibilità nella scelta, proprio perché non si conoscono le conseguenze legate allo stoccaggio delle scorie radioattive nel tempo, rendendo così possibile un loro futuro trasferimento in altri luoghi.
Nel caso dei siti geologici questo non sarebbe possibile, i materiali ospitati in cavità sotterranee dovranno re- starci definitivamente anche nel caso in cui la scelta del sito si riveli sbagliata.
Anche parte delle scorie del nucleare italiano sono contenute in questi centri temporanei, ovviamente con costi notevoli, mentre una buona parte è contenuta ancora nei vecchi impianti non più funzionanti.
In Italia sono 4 le centrali dismesse dopo il referendum del 1987, localizzate a Trino (Vercelli), Caorso (Pia- cenza), Latina e Garigliano (Caserta), più una serie di centri di ricerca e sperimentazione e alcuni centri di trattamento del combustibile. Tutti questi impianti sono ancora oggi in fase di smantellamento. Come già accennato, la proprietà e le responsabilità relative alla gestione e al decommissioning sono affidate a Sogin, società pubblica appositamente costituita nel 1999.
La centrale nucleare Enrico Fermi di Trino costituì la prima iniziativa industriale avviata in Italia in campo nucleare. I lavori di costruzione iniziarono nel 1961 e il 22 ottobre 1964 iniziò ad immettere elettricità in rete. La centrale di Caorso è la più recente e la più grande delle centrali nucleari realizzate in Italia. Il reattore di Caorso ha iniziato le sue reazioni di fissione nel dicembre 1977 e il primo collegamento con la rete nazionale è stato effettuato il 23 maggio 1978. La centrale di Latina fu la prima centrale nucleare ad entrare in funzione in Italia, con inizio di immissione di elettricità nella rete nazionale il 12 maggio 1963. La centrale del Garigliano appartiene alla prima generazione degli impianti nucleari e fu fermata dall’Enel nel 1981 per evidenti problemi di sicurezza. L'impianto Eurex di Saluggia (Vercelli), realizzato nel periodo 1965-1970, aveva come obiettivo il riprocessamento dei combustibili dei reattori di ricerca della comunità europea. A partire dal 1984 l'impianto di riprocessamento non ha più funzionato.
Il deposito Avogadro di Saluggia (Vercelli) realizzato da Fiat alla fine degli anni ‘50 come reattore nucleare sperimentale, è stato successivamente trasformato nell'anno 1984 in deposito per combustibile irraggiato di proprietà Enel. L'impianto di Bosco Marengo (Alessandria) ha operato dal 1973, fabbricando combustibili per le centrali nucleari italiane e anche per reattori esteri. Da Bosco Marengo, altro sito piemontese gestito da Sogin, è partito di recente il terzo ed ultimo carico di uranio presente nell'ex impianto nucleare, con destinazione Kazakistan. L'impianto Itrec di Rotondella (Matera), impianto di trattamento del combustibile, realizzato nel periodo 1965-1975, aveva come obiettivo la dimostrazione della fattibilità della chiusura del ciclo uranio-torio, con il riprocessamento del combustibile irraggiato.
In un rapporto Sogin, finalizzato alla ricerca in Italia di un sito geologico idoneo a contenere scorie nucleari, rapporto in cui venne individuato Scansano Jonico (Matera), si faceva l’inventario dei rifiuti nucleari di III categoria presenti e/o prodotti in Italia che devono essere stoccati definitivamente in un deposito geologico (secondo l’APAT, Agenzia governativa per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici, sono rifiuti nucleari di III categoria quelli che hanno tempi di decadimento lunghissimi, svariate migliaia di anni).
Secondo questo inventario, l’elenco dei rifiuti radioattivi di III categoria da conferire al deposito definitivo comprende:
– Il combustibile irraggiato presente sul territorio nazionale e non inviato al riprocessamento;
– Il combustibile irraggiato di proprietà italiana provvisoriamente stoccato all’estero;
– I rifiuti ad alta attività vetrificati che dovranno tornare in Italia a seguito del riprocessamento in Inghilterra (BNFL, Sellafield) del combustibile irraggiato delle centrali nucleari italiane;
– I rifiuti di III categoria derivanti dal passato esercizio degli impianti nucleari italiani;
– I rifiuti di III categoria che saranno prodotti dalle operazioni di decontaminazione e smantellamento degli impianti nucleari.
A questo inventario si deve aggiungere la quota di proprietà SOGIN del combustibile, attualmente stoccata in Francia presso la centrale SUPER-PHENIX di Creys-Malville, pari a 121 elementi di combustibile al plutonio (MOX - ossido misto di plutonio e uranio) irraggiati, per un totale di circa 62 T/HM.
Invece tutto il combustibile di Garigliano e Latina è stato già rimosso dagli impianti. In particolare:
– Il combustibile di Garigliano è stato trasferito, anni fa, in parte all’impianto di riprocessamento di Sellafield (UK) della BNFL (British Nuclear Fuels: compagnia proprietaria della centrale di Sellafield in Gran Bretagna) ed in parte nel deposito realizzato nella piscina dell’ex reattore Avogadro Saluggia (Vercelli). Di tale combustibile è previsto l’invio a Sellafield per il ripromessamento, nel quadro di un programma di trasporti avviato il 6 aprile 2003 e di cui era previsto il completamento nel 2005.
– Tutto il combustibile irraggiato proveniente dalla centrale di Latina è stato inviato al riprocessamento (Sellafield, BNFL) perché la sua particolare natura non ne consente lo stoccaggio a lungo termine.
Per il combustibile irraggiato attualmente presente nelle piscine degli impianti di Trino, Caorso e Saluggia (ad eccezione del quantitativo di combustibile del Garigliano da inviare al riprocessamento, come appena detto), in attesa della disponibilità del deposito nazionale validato anche per la III categoria, si procederà allo stoccaggio a secco in apposite strutture da realizzare presso gli attuali siti di deposito temporaneo.
Questo combustibile verrà sigillato in contenitori schermanti adatti sia allo stoccaggio sia al successivo trasporto al tanto sospirato deposito nazionale (cask “dual purpose”).
Anche per i combustibili irraggiati presenti nei centri di Ispra, Casaccia e Trisaia è previsto lo stoccaggio a secco in cask dual purpose collocati temporaneamente negli stessi siti. Per quanto riguarda il combustibile irraggiato Superphénix, si prevede di mantenere lo stoccaggio del combustibile presso l’Impianto di Creys Malville, in Francia, fino a quando non sarà disponibile in Italia il sempre più sospirato deposito nazionale; ciò consentirà, secondo Sogin, il trasporto diretto dalla centrale di Creys-Malville al deposito nazionale, evitando di realizzare apposite strutture di stoccaggio intermedio in Italia.
A tutti questi quantitativi si devono poi aggiungere quei rifiuti riprocessati fuori Italia e che sono stati o vetrificati o cementati.
Si tratta quindi di circa 10.000 mc di materiale radioattivo. Un volume mortifero grande come un grattacielo con base di 100 metri quadrati e alto più di 30 piani.
I costi per la gestione delle scorie sono enormi; depositi definitivi adatti a conservare in sicurezza le scorie per migliaia di anni non se ne trovano e le comunità locali sono sempre più agguerrite. Un vero rompicapo per i faccendieri dell’atomo. Come Stati e imprenditori cercano di risolvere il problema lo vedremo nel prossimo capitolo.

Zatarra